mercoledì 21 novembre 2007

EMPTY PAGES

Un giorno mi hai chiesto perché ero così diverso dietro una tastiera del pc...

Non so se avrebbe avuto senso dirti, che esiste una differenza tra ciò che si scrive e ciò che ci si dice a voce.

Amo ripetermi, parlare di luoghi comuni, che comuni non sono mai.
Non ho memoria.
Anche se sto recuperando uno strano rapporto con essa.

Non mi è mai piaciuto il rapporto elettronico-epistolare, neanche con le persone che vedo di rado, spesso è troppo legato alla scrittura vera e propria.
E' stimolante nel momento in cui lo vivi con un'ottica futurista, la velocità dell'attimo, leggi, apprendi, pensi, trasmetti alle dita e premi invio.

Si potrebbe pensare che c'è razionalità nelle cose che si scrivono, poco pathos e molta pathina.

Penso di no.
C'è il lato positivo che si può sbagliare, si può tornare indietro, riformulare i concetti, in un percorso simile a quello dei romanzieri.
Rimaneggiare, rileggere quello che si ha scritto in precedenza, nelle mail passate, per essere sempre nuovi, sempre coerenti, sempre esplosivi al massimo delle nostre possibilità.
O impossibilità.

Però leggendo tra le righe possiamo essere di fronte l'uno con l'altro.

Ritrovarci fisicamente faccia a faccia, è un brusco risveglio.
Tutto è reale.

noia
ripetizioni
sbagli
sbadigli
errori
rucola tra i denti
forfora sulla giacca
ascella pezzata

Forse abbiamo paura della realtà.
Sperando che i rapporti siano sempre perfetti, non ci accorgiamo che sogniamo spiagge di Malibu con tette al silicone e pettorali al marzapane.

Di fronte alla prima imprecisione, al primo scoglio, crolla il palco.

Una vita di celluloide condizionata dai film.

Mi ritengo fortunato di aver acquistato in ritardo il cellulare, di aver visto il telefono con la rotella a casa mia, la tv in bianco e nero, di avere ricevuto decine di cartoline adolescenti, e scritto lettere altrettanto ingenue.

D'istinto.

Sono contento di usare questi mezzi per quello che sono, veicolo di idee.

E di emozioni.

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Ascoltando:
Traffic, John Barleycorn Must Die, 1970
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lunedì 12 novembre 2007

CANTON

Il ritorno di un mio collega da un viaggio in Cina, è stata per me un'occasione di poter riflettere sul nostro modo occidentale di guardare il passato.
Nel suo viaggio turistico, una ragnatela di voli e percorsi, ha patito insufficienza di storia.

La storia vista nei film, letta sui libri.

Lo smacco è culminato al suo giungere nella Città Proibita, quando ha scoperto che il restauro della scalinata, veniva effettuato sostituendo i vecchi gradini consunti, con nuovi e lucenti blocchi di pietra immacolata.

Mi e rimasto sempre dentro il ricordo di un mio docente universitario, nozione che non ho mai verificato.
Narrava che in una città della Cina, ad intervalli di tempo regolari, veniva smantellato un tempio ed edificato uno identico.

Lo scopo di questa operazione consiste nel tramandare alle nuove generazioni, saperi e conoscenze antiche.
Il risultato è, a mio parere, una schiera di maestranze colte e un popolo che affronta il domani con baldanza.

In occidente il continuo fluire di informazioni e costumi, a una velocità folle, è contrapposto a una visione romantica del rudere.

Un continuo sogno di residenze con vecchi mattoni a vista, di antiche travi recuperate, di pavimenti in cotto rovinati, di mobili tarlati.
Il tutto ottenuto attraverso uno sforzo a volte immane, a volte fatto di un maquillage effimero.

La nostra esistenza, è seviziata da un incessante confronto con i geni del passato che, invece di stimolarci, ci soffoca.

Del passato ammiriamo la materia, il dettaglio, la monumentalità, frutto a mio parere più del sudore e della competenza di uomini semplici, piuttosto che di geni di corte.

Sinceramente, penso che una deficienza della nostra cultura, stia nell'incapacità di ripetere i grandi monumenti del passato.
Sottolineo, ripetere.

Senza comprendere che il colpo di genio non esiste.
Esiste solo un marciare incessante di un popolo creativo, pensante e conscio del passato.

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Ascoltando:
Japan, Oil on canvas, 1983
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giovedì 1 novembre 2007

MOONLIGHT IN GLORY

Partire da un luogo rumoroso, dopo essere passato per ben due feste e finire nel nulla, ha un sapore irreale.

Una notte tra amici.
Tutto scorre nell'abitudine consuetudinaria del divertimento, con il freno sempre sotto il piede.

Non è più il tempo infatti, per me, di viaggiare senza inibizioni.

Poi la proposta di E., Regina del Banale, viaggiare per farci avvolgere dalle stelle.

Partiamo per un luogo appartato, che la campagna veneta sa offrire.
Un contorno industriale, macchinari silenziosi e silos illuminati di luce intensa.
Sono rimasto ammaliato dal tetto che mi veniva offerto, un gratuito spettacolo, che spesso, ahimè, non ho l'umiltà di apprezzare.

L'orizzonte era una nebulosa di color arancio.

Un'occhiata veloce, gelida, abbastanza da ridurre il mio corpo, oggi, ad un brodo primordiale di microbi.
Ne è valsa la pena.

La scorsa settimana, tornando a tarda notte e osservando un orizzonte color cremisi, mi è tornata in mente una notte.
Speciale.
Unica.
Anche quella sera, eri presente, mia eccentrica Regina.

Occasione: il blackout nazionale.

Se quella privazione è stato un pretesto, per molti, di poter sporgere causa contro ignoti;
Se c'è stata rabbia contro il governo, per averci raccontato ancora bugie in un caso surreale;
Io, ricordo quella sera con una vivida lucidità.

Un viaggio in macchina mia nella notte più buia di sempre, un approdo nel piazzale di casa tua.
Noi ricoperti di gioielli persi per sempre.

Non ho occasioni di poter fare molti viaggi.
Trovo che, nella nostra società, tra le diverse forme di inquinamento che ci opprimono, quello che resta in cima alla classifica è quello visivo.

Sarà che è il senso in me più sviluppato, sarà il mio lavoro, sarà che i miei ricordi sono quasi tutti delle immagini...sara...à

Resta il fatto che per me, quell'albero caduto su un traliccio oltre confine, ha ridato gloria alla poesia dell'immagine.

Un cielo stellato, più che mai.
Un tentato furto, di un bacio.
Un bagliore lunare, portato in gloria.

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Ascoltando:
Byrne / Eno, My life in the bush of ghosts, 1981
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