domenica 30 marzo 2008

FUOCHI NELLA NOTTE (DI SAN GIOVANNI)

La mia formazione universitaria e il mio lavoro, hanno portato il mio senso dell’equilibrio ad uno stadio innaturale.

Un progetto convoglia delle energie per la realizzazione di un qualcosa di stabile e immobile.
Appunto, immobile.

Nella vita reale le cose non vanno mica così.

Me ne sono ricordato l’estate scorsa.

Il passato insegna che io non imparo dal passato.

Una passione travolgente e (in quanto tale) breve, mi aveva fatto credere che sarebbero state le piccole virate sul mio comportamento, a rendere il rapporto vivibile.
Intuivo che da sola, la relazione, non sarebbe durata.
Forse era l’unica sensazione razionale che mi rimaneva.

Quella calda giornata, sulla panchina dei Giardini della Biennale, con il legno che si stava ancora asciugando dopo il temporale estivo, ho capito che per sperare in una lunga durata, un rapporto si deve avvalere del minor sforzo possibile.

Ogni azione, qualsiasi parola non detta, qualunque omissione e qualsivoglia tentativo di sovrapporre il proprio ideale di su chi ci sta di fronte, è energia dispersa per imbastire, a punti lunghissimi, un equilibrio precario.

Entropia regalata al sistema.

Meglio sarebbe conservare la vitalità per virate, voli e imprevisti, che continuare a disperdere nell’aere calorie per accontentarsi di rimanere, pateticamente, in piedi.

Lascio che le cose vadano come devono andare.
Ma non mi portino altrove.

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Ascoltando:
Consorzio Suonatori Indipendenti, Ko de mondo, 1994
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venerdì 21 marzo 2008

MUSIC LOVER

La visione questa sera del film "Woodstock" (ho sinceramente perso il conto delle volte), mi ha fatto riflettere al modo di fruire la musica live oggi.
A parte i concetti di uso indiscriminato di droghe, più o meno leggere, la condivisione di tutto e la libertà, mi ha colpito l’esecuzione.
Gli artisti che si esibivano sul palco erano semplicemente veicolo di emozioni, il significato di esecuzione perfetta era lontano anni luce.

Richie Havens è arrivato sul palco con la sua chitarra logora dal suo suonare "a braccio", istintivo e poco attento alla quintessenza.

Il pubblico non si aspettava minimamente la compiuta corrispondenza dei brani contenuti negli album, semplicemente attendeva l’artista e la trasmissione di vibrazioni, qualsiasi fosse il ri-arrangiamento, la revisione, lo stravolgimento del pezzo.

Era un periodo in cui si vendevano molti album, 33 e 45 giri, il musicista poteva permettersi tranquillamente anche di non uscire dallo studio.

L’esibizione live era una scelta, non una necessità.

Ultimamente assisto sempre di più a esibizioni iperprodotte, ricche di basi DAT e sequencer che colmano lacune acustiche.

Un continuo rincorrere l’impossibile.

I Queen, gruppo peraltro che non amo, si esibirono a Wembley semplicemente in quattro.
Erano notoriamente conosciuti per le maniacali sovraincisioni presenti negli album, resero però giustizia ai brani, interpretandoli live da soli.
Un concetto di "vivo" oramai perso.


Figli di musica pretesa oramai come gratuita, ci subiamo concerti stucchevoli e distanti.

Unico sostentamento, di artisti irreali.

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Ascoltando:
AA.VV., Woodstock, 1970
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mercoledì 12 marzo 2008

OLD MAN

Nella maggior parte delle culture  di aggregazione sociale, l’anziano è colui che detiene la saggezza.
Di fronte ai suoi occhi sono scorse molte stagioni, centinaia di foglie sono cadute ai suoi piedi.
Tutta la tribù porta rispetto per il decano, chiede consiglio e si prostra di fronte alle sue decisioni.

Sinceramente non riesco a rapportare a oggi il concetto di vecchiaia, a trasporlo nel contemporaneo.
Probabilmente, nel medioevo, una persona veniva considerata anziana a soli quarant’anni.
Alessandro Magno non compì mai quell’età, ma a sedici anni era al comando dell’impero Macedone, mentre suo padre era impegnato nell’assedio di Bisanzio.

Oggi, se la politica è lo specchio della società, ci ritroviamo di fronte ad un monopolio di attempati.
Settantenni sostenitori del concetto NIMB, incapaci di delegare, che si propongono come unici salvatori di una situazione solo a loro chiara.

Ne ho visti troppi dalle mie parti ragionare in questo modo.
Persone attaccate morbosamente alla "fabbrichetta", incapaci di far svolgere le proprie mansioni a qualsiasi altro essere.
Uomini che sul letto di morte vedono crollare, ai piedi del loro capezzale, le fatiche di una vita.
Individui incapaci di lasciare il proprio posto a chi tocca.
Viviamo in una nazione di persone che non sono in grado di rendersi conto che il tempo scorre, inguaribili adolescenti e malinconici adulti.
Mai che gli uni e gli altri si rendano conto di dover lasciare il passo alle nuove generazioni.

Probabilmente siamo alla deriva perché nessuno ci lascia la possibilità di essere attivi in quello che facciamo.

Nel corso del tempo, l’immagine di anziano che condivide la proprie esperienza, è sostituita da una rappresentazione di un triste avaro.
Nella tomba porterà con se i suoi segreti.

Ricchezza mai condivisa.
Di un vecchio uomo.

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Ascoltando:
Neil Young, Harvest, 1972
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