domenica 8 marzo 2009

NO PRESSURE OVER CAPPUCCINO

Certi album musicali, alcune canzoni entrano nella tua vita come il comparire di un'allergia: il giorno prima ne sei immune e tutt'un tratto invece non riesci più a farne a meno.

Così, questa volta, mentre l'asfalto correva sotto di me, il sottofondo era quello di Alanis Morissette.

E’ difficile ricordare quante volte mi sono commosso di fronte a una canzone.

Ancora una volta, dalle casse usciva un arrangiamento così perfetto, sembrava che i musicisti si muovessero all'interno di una stanza il cui pavimento era cosparso di gusci d'uovo.

Da certe sovrapposizioni di note, è chiaramente possibile capire che tutto è in un equilibrio, nel quale basta spostare un'inezia, perché tutto crolli.

Come in un castello di carte.

In una scultura di Calder, ogni elemento si regge grazie a un oggetto complementare, che lo equilibra.

Delicate azioni / reazioni, non onde d'urto.

Prendendo atto che al mondo possono esistere persone in grado di piangere ed innamorarsi ascoltando brani dei Rage Against The Machine e gli MC5, mi sono chiesto: perché nella maggior parte dei casi colleghiamo le emozioni a opere d'arte delicate?
Qual'è il motivo per il quale una tenue canzone di Jeff Buckley, una vellutata scultura di Canova, una lieve fotografia di Stieglitz si legano nella nostra mente a intensi momenti carichi di sentimento?

Forse per contrastare le emozioni, di per sé così forti.

L’amore non accetta un contraltare, al massimo una timida spalla.

Quello che non mi riesco a spiegare è la ragione per la quale siamo così attratti e affascinati dalla delicatezza, dall'instabile bilanciamento e dalla precarietà nell’arte, quando poi cerchiamo nella nostra vita di allontanarci quotidianamente da tali sensazioni.

Probabilmente in questa crisi, l’arte diverrà una forma di espressione solida e monolitica, uno sgraziato dinosauro microcefalo che si farà spazio nella precarietà.
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Ascoltando:
Alanis Morissette, Alanis Unplugged, 1999
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lunedì 2 marzo 2009

WE ARE THE PIGS

Sommessamente, mi ritrovo ad osservare il mondo da un oblò, con il risultato però di disinformarmi, come qui spesso denuncio.
La pulce che viveva nel mio orecchio, nell’ultimo periodo ha deciso di piantare famiglia e proliferare.

Da quando l'attuale governo si è insediato, non ho sentito parlare altro che di immigrazione, soprattutto in termini accusatori.
Non vivo pensando che chi siede in parlamento abbia anche il tempo di decidere cosa è meglio dire e cosa è meglio tacere, penso che però il servilismo dei giornalisti e dei direttori possa fare molto in questo senso.

Autocensura.

Giorno dopo giorno ho cominciato anch'io a nutrire sentimenti di odio nei confronti dei delinquenti che, senza permesso di soggiorno, brulicano nel nostro paese.

Iniziavo a pensare che era il momento di arrabbiarsi, di agire.

Per la prima volta ho voluto che venisse ripristinata la pena di morte.
Io.

Poi le idee hanno cominciato a sedimentarsi, le immagini ad essere elaborate, mi sono rilassato...un dubbio si è insinuato...sarà mica l'ennesimo esempio di disinformazione per coprire altre notizie?

L'Ansa batte centinaia di titoli ogni giorno, è compito del direttore di un giornale di selezionarli, così da informare nella maniera più ampia chi riceverà tali comunicati.

Invece ogni giorno tutti i telegiornali propongono le stesse immagini: romeni stupratori.
Giorni fa l'Istat ha deciso di ricordare i dati che ha raccolto inerenti le violenze sulle donne: quasi il 70% degli stupri avviene in famiglia, il 17,4 è ad opera di un conoscente e solo il 6,2 degli stupri denunciati sono commessi da sconosciuti.

Queste sono cose che tutti sappiamo, ma che i mezzi di informazione cercano di farci dimenticare.

Lo stupro per me è paragonabile al delitto, la vittima ne porta con se i segni per tutta la vita, quindi va punito con pene severissime, ma tutto questo parlare di accampamenti, di violenze è pura e semplice disinformazione fuorviante.

Dentro le mura delle nostre case accadono le peggiori angherie immaginabili e noi invece guardiamo la realtà dentro una scatola che vomita falsità.
Lo dicono i dati.

Noi, siamo i maiali.

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Ascoltando:
Suede, Dog Man Star, 1994
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