lunedì 29 novembre 2010

WOULD YOU BELIEVE?

L'attacco mediatico, definito dai nostri politici come "l'11settembre della diplomazia", è stato sferrato.
I documenti pubblicati su Wikileaks non sono ancora tutti quelli che Assange ha a disposizione, a breve dovrebbero arrivare nuovi dispacci di guerra.
Fino ad adesso nulla di nuovo all’orizzonte, cose che già si sapevano.
Chiacchiere da parrucchiera, o almeno così credo.
Raramente sono entrato in un salone, se non per accompagnare e ritirare mia nonna, usciva con degli splendidi e candidi boccoli, che portava con fierezza.
Quando vado a tagliarmi i capelli da Cesare parliamo d’altro.
Non ci avevo riflettuto sino ad ora, ma una chiacchierata con un mio collega mi ha fatto riflettere.
La rete è un mezzo potentissimo, senza regole apparenti, in cui si può trovare tutto e il contrario di tutto.
Ogni notizia rilevante trova una teoria di complotti pronta a smentirla, altri a sostenerla.
Anche gli altri media si muovono in questa direzione, in una logica straniante in cui ognuno ascolta la voce che più gli aggrada.

La voce del padrone.

Ho letto e visionato decine di siti internet che sostenevano di dire la verità su l’11 settembre, I Tigi, Bologna, J. F. Kennedy e altri “misteri” irrisolti della storia contemporanea.
Mai che riuscissi a trovare informazioni che andassero nella stessa direzione, polveroni di informazioni che ti accecano.
Nessuno oggi si domanda perché tutti i mezzi di informazione oggi diano così importanza alle dichiarazioni del sito di Assange.
Nessun governo prende le distanze, tutti all’unanimità fanno i conti con il sito, con un eco mediatico smisurato per l’esigua portata delle notizie.
Decretando in coro che è tutto vero.
Mai come oggi ci siamo sentiti dire che un sito era così attendibile, in questo clima di incertezza.
Di modernità liquida.
Una pulce in un orecchio: e se fosse tutta una montatura?
Se i documenti in effetti non ci fossero?
Se tutto servisse a creare un precedente per stabilire che è necessaria una regolamentazione della rete, che già esiste in altri stati, più o meno dittatoriali?
Potrebbero convincerci che la nostra privacy è più importante di qualsiasi cosa, anche dei nostri diritti, come è già stato tentato di fare per il decreto sulle intercettazioni.
Spero sinceramente che la rete possa restare libera, affinché i nostri occhi possano vedere ciò che vogliono e non ciò che gli è stato imposto, uccidendo il nostro orizzonte.
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Ascoltando:
Roxy Music, Roxy Music, 1972

giovedì 18 novembre 2010

THE UNKNOWN SOLDIER

Ricordo che uno dei primi regali di Natale per mio fratello, fu una raccolta del meglio dei  Doors, due LP.
In copertina c'era un bianco e nero di Morrison, sfrontato, ammiccante, maledetto.
Dovetti confrontarmi anni dopo con la stessa immagine, al liceo le studentesse impazzivano per i suoi occhi magnetici.

Il film di Oliver Stone fu la mazzata finale, un misto di occultismo, droga e riti sciamanici.
Ingredienti per fare impazzire le mie coetanee, mentre io rimanevo con i miei brufoli a studiare chitarra in cameretta.

Le sequenze di Stone hanno segnato la mia generazione, contribuendo alla costruzione dell'immagine di un mito.

Con il passare del tempo altri colossi degli anni settanta si sono ingigantiti, mettendone in ombra altri.

Forse è per questo che Laura Joplin ha deciso di rivolgersi a uno specialista.
Jeffrey Jampol si occupa di conservare la memoria dei miti.

Il suo piano triennale per Janis prevede la creazione di una linea di gioielli, ristampa degli album, riproduzione della sua chitarra, libri e applicazioni per iPhone.

Manca solo una linea di siringhe.

Nella mia ingenuità, non ho mai minimamente pensato che la mitizzazione di alcuni gruppi musicali, fosse dovuta a dei piani triennali.

Continuare ad alimentare la fiamma di artisti deceduti, consente a chi li amministra di fare soldi facili, grazie a materiale concreto, che non riserba sorprese.

La costruzione dei miti è aiutata da pochi ma essenziali ingredienti come l'assenza fisica dei soggetti interessati, la possibilità di filtrare le cose dette o fatte e soprattutto dalla condizione di poter selezionare le immagini e i filmati. Gli artisti, fortunatamente, non sono costretti a vedere le loro spoglie contese come reliquie di piccole, ma voraci parrocchie.

In questo campo l'Italia, con il comportamento della sua classe dirigente, è all'avanguardia da anni.
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Ascoltando:
The Doors, Waiting for the sun, 1968

sabato 13 novembre 2010

STRADE

In giro per la rete è possibile trovare una serie di filmati (personalmente ne ho visti finora due, ma credo possano essercene altri) titolati “Zeitgeist” e “Zeitgeist Addendum”.
Sono dei video senza scopo di lucro, prodotti in maniera economica, caratterizzati da un’estetica dal gusto tipicamente “lo fi”.
ll messaggio passa chiaro, anche se il filo del discorso a volte si perde, soprattutto nel primo.
Suddiviso in tre parti, Zeitgeist si conclude con l’esposizione del disegno di un visionario esponente del Progetto Venus, Jaque Fresco.
Questo hippie futurista, descrive un pianeta in cui nessuno ha bisogno di lavorare, in cui le macchine permettono alle persone di ottenere beni e alimenti senza fare sforzi.
Egli immagina un futuro in cui il lavoro è in pratica abolito, se non in frammenti e all’interno di logiche completamente avulse da quelle contemporanee.
Rendere disponibili i beni in gran numero a tutti, ne svaluterebbe il valore, ma permetterebbe il libero accesso degli stessi, da parte della popolazione.

Un po’ come sta avvenendo nei  multimedia come la musica e i film.

L’idea di una società senza lavoro mi piace.
Non perché non mi piaccia il mio lavoro, bensì perché credo che restare aggrappati a un’occupazione per sopravvivere sia una degenerazione  dell’uomo.
Il cibo potrebbe essere prodotto, in maniera sufficiente per tutti, a un costo pari a zero, così come i beni di un paniere contemporaneo ragionato.

Non di uno che contenga gli smart phone o i decoder digitali.

Il lavoro dovrebbe essere un’attività gratificante, la quale permette alle persone di poter acquistare dei beni superflui, non quelli necessari.
L’automazione oggi sostituisce i mietitori di grano, le mondine, a volte i vendemmiatori e altre professioni in via di sparizione.
E’ inspiegabile come il costo di queste produzioni sia rimasto pressoché invariato, nello stesso modo in cui questi e tanti altri prodotti, sono il frutto di una quasi totale assenza di manodopera.
Una possibile spiegazione è il fatto che è stata aggiunta tanta burocrazia, figure professionali che vengono coinvolte marginalmente.

Probabilmente il periodo di transizione tra quello industriale (fonderie, sudore e grasso) e l’eden (dove l’uomo potrà cogliere gratuitamente il cibo senza alcuno sforzo) sarà insopportabile.

Non so se il nuovo medioevo somiglierà a quello descritto da Cormac McCarty ne “La strada”.
Sono però fiducioso del fatto che tutto volgerà all’evoluzione.
Un nuovo umanesimo.
Sarà una nuova era senza religione, dove l’uomo finalmente crederà in se stesso assaporando ciò che ha e non quello che gli è stato promesso.
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Ascoltando:
Subsonica, Microchip Emozionale, 1999

domenica 31 ottobre 2010

LA LUCE DELL'EST

Nelle svariate incongruenze della nostra democrazia, ma soprattutto del nostro governo, ce n’è una che mi colpisce maggiormente.

Durante l'ultimo decennio, gran parte degli stati europei e non solo, hanno stretto accordi economici con uno degli stati più controversi degli ultimi anni: la Cina.

Si può convenire che sia anche necessario turarci il naso per restare a galla, in un periodo come questo.

Tracciare una linea per poi potersi dichiarare fedeli.

In Italia però, come in una distorta legge della fisica, ci sono due spinte uguali e contrarie.

Da un lato stiliamo accordi economici con una delle dittature più potenti dell'intero pianeta, dall'altro i mezzi di informazione, spinti da pulsioni politiche, continuano a dipingere la Cina e i suoi derivati come un male da sconfiggere.

Farciscono i telegiornali con bollettini di guerra, dove l'importazione di giocattoli e altri prodotti viene sgominata dalle forze dell'ordine.

Non rispondenti alle normative.

Terzisti delle aziende della moda, soprattutto nel nordest, continuano a venire trovati in flagrante, in un export di sfruttamento e annullamento di diritti umani.

Le fantomatiche epidemie aviarie hanno fatto sparire i ristoranti cinesi dal nostro paese, i quali avevano fatto la fortuna negli anni 90.
Poco male, le stesse persone ora gestiscono i ristoranti giapponesi e i sushi bar.

In sintesi sembra che i mezzi di informazione propongano un boicottaggio dal basso, in cui si dovrebbe tendere ad acquistare prodotti non provenienti dalla Cina.

Riguardo la cosiddetta "democrazia dal basso" tanto sventolata da Grillo, ho avuto sempre dei dubbi.
La popolazione non ha il tempo materiale per proporre, rendersi attivi nella gestione del nostro paese.
E' già tanto se si informa e giudica l'operato del governo.

Però al solito le guerre sono fatte dal popolo.

Il lavoro sporco toccherà farlo a noi, cercando di divincolarci nel non acquisto di prodotti, senza sapere il perché.

Beata ignoranza.
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Ascoltando:
Lucio Battisti, Il mio canto libero, 1972

martedì 12 ottobre 2010

THIS GARLIC CAKE

La trasmissione "dadada", la scorsa estate in onda su Raiuno, ci ha presentato ogni sera uno spaccato di un'Italia persa.

Un paese mancato.

Alle volte ci si domanda dove siano finiti i vari Gasmann, Bene, Tognazzi.
Bastava una loro intervista per fare cultura, donare una ventata di ossigeno.

In un paese come il nostro la padella sembra essere uno sbocco economico e culturale.

Per mesi mi sono chiesto dove andassero a finire tutti i cibi che preparavano in televisione.
E’ inutile che cercate di farmela bere, no, io non ci credo che voi cuochi e conduttori riusciate a mangiare a tutte le ore.
Dubito del fatto che questi professionisti trovino il tempo persino di tornare alle proprie cucine dei rispettivi rinomati ristoranti.

Mai come ora Castelmagno, lardo di Colonnata e carne di Chianina, sono sulla bocca di tutti, anche non in senso figurato.
Anche la cultura del bere bene si sta decisamente diffondendo, gli scaffali dei supermercati lo dimostrano.
Gli italiani sono un popolo pingue, contraddistinto da un fisico appesantito da anni di benessere e una gioventù  annoiata.

La cucina diventa la tela da dipingere, il blocco da scolpire, un singolare mezzo di espressione.

Sono convinto che questa forma d’arte sia una delle poche in cui ancora oggi dimostriamo palesemente la nostra leadership.

Sacrificherei gran parte degli approfondimenti culturali dei telegiornali nazionali, che troppo spesso dedicano tempo e denaro a talent show e fuocherelli di paglia.
Rinuncerei persino a quel poco di finanziamenti che il governo concede alla cultura, sperperati dall’ignoranza delle amministrazioni.

Proviamo a immaginare uno stato in cui tutti gli sforzi economici e tutti i media si occupano di tagliatelle e rigatoni, costate e filetti, al posto di fare programmi di approfondimento politico.
Sarei persino contento.

A differenza di certi presentatori e personaggi politici infatti, sono pochi i cibi che non digerisco.
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Ascoltando:
Samuel Katarro, Beach Party, 2008

lunedì 4 ottobre 2010

GLITTERING PRIZE

Una delle conseguenze immediate della crisi è la scomparsa degli anelli più deboli della catena economica.

L’acquirente, anche il meno scaltro, oggi cerca di saltare passaggi che vede inutili, spendendo del proprio tempo .
Il tempo libero infatti, a suo avviso, costa meno di quello di un professionista del settore.

Anche se è palese che il tempo libero non abbia prezzo.

Persino i piccoli negozi, le librerie, i bar si sono resi inutili.
E’ di pochi giorni fa la notizia di una giornalista che ha deciso di fare l’esperimento di rifornirsi in tutto e per tutto su internet per gli acquisti di casa.

Il necessario per la sopravvivenza ma anche il superfluo.
Io non credo che il domani sia fatto di vini comprati su internet e bevuti a casa, di giornali su abbonamento e libri digitali.

L’uomo è inevitabilmente un animale sociale, anche se questo lo stiamo dimenticando.

Nella mia cittadina osservo ciò che leggo succedere nelle metropoli, i locali di proprietà degli esercenti sono sempre di meno e gli affitti sono alle stelle.

Non c’è da meravigliarsi che più di qualche negoziante installi dei distributori automatici, risparmiando così sulle spese di gestione e del personale.

Negli altri casi il personale è scontento, non si sente partecipe dell’attività e nella maggior parte dei casi tratta male l’avventore.

Ciò implica un calo degli affari, meno introiti e paghe sempre più da fame.

Un cane che si morde la coda.

Per me il Made in Italy non è design (esternalizzato), non è produttività (delocalizzata), non è cura artigianale (svolta da extracomunitari sottopagati).

Il Made in Italy è il valore aggiunto.

Valore aggiunto è il sorriso, la chiacchierata, le relazioni sociali disinteressate, come fine unico il piacere di vivere in una collettività e aiutarsi a vicenda.

Un valore che ho avuto la fortuna di vedere soprattutto nel sud Italia, il tanto vituperato meridione.

E’ sul valore aggiunto che si gioca tutto.

Il contatto umano.

Non un semplice customer care automatico.

Viceversa il nostro interagire, lavorare, vivere sarebbe ridotto a una mera sussistenza, ove ognuno di noi è intercambiabile, sostituibile.

Senza valore.
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Ascoltando:
Simple Minds, New Gold Dream (81/82/83/84), 1983

domenica 22 agosto 2010

SUMMERTIME

Scusate il ritardo, ma è stato un periodo veramente intenso, credevo (temevo) che non avrei più trovato il tempo per scrivere.

Nonostante la pausa dal lavoro, le cose da fare sono state veramente tante, traslochi, novità, assestamenti e colpi di reni per recuperare l'equilibrio.

Senza rete.

L'anno scorso le ferie mi avevano regalato tempo e stimoli, al punto da scrivere fiumi di post.

Quest'anno gli stimoli non sono stati pochi, ma difficilmente ho trovato quell'irrequietezza che ha sempre caratterizzato il mio scrivere.

Non tutti i mali vengono per nuocere.

Si sta chiudendo l'ultimo giorno di ferie e mi sento come un bambino che si è bevuto le vacanze come un gigantesco bicchiere d'acqua dopo una lunga corsa.

Mi fanno quasi male le tempie.

Quando si è bimbi difficilmente si apprezzano le sottigliezze, le delicatezze, sono i loro ricordi che trasformano quei momenti, sedimentandoli e mutandoli in punti cardine.

Forse ai tempi ero precoce, ma la tristezza e la malinconia erano sentimenti che conoscevo già bene allora.

Non ero così ansioso delle novità.

Il termine delle vacanze era così ricco di eventi, saluti e volti che, con il passare degli anni, la mia memoria non è riuscita a contenere pienamente.

Ricordo però che l'ultimo giorno era un tripudio di tuffi in acqua, era anche il giorno in cui i miei genitori mi permettevano di rimanere in spiaggia fino a quasi al calar del sole.

Il giorno dopo era quello della malinconica partenza.
Mia madre, grandissima estimatrice della spiaggia, mi chiedeva se volevo andare a salutare il mare con lei.

Mi diceva proprio così "Andiamo a salutare il mare?".

Dopo aver preparato le valigie e pulito la casa che affittavamo, io e lei ci dirigevamo in spiaggia a dare l'ultimo saluto all’orizzonte prima dell'anno successivo.

In silenzio guardavamo il frangersi delle onde sulla riva, il sole ancora basso.

Oggi sono stato in spiaggia l'ultimo giorno di ferie, ferie che ho speso "senza andare da nessuna parte" come dalle mie parti si ama dire.

Mi sono immerso più volte in quell'acqua tanto criticata, opaca, torbida e così distante da quella cristallina di Formentera, Mykonos, Isole Mauritius.

Un'acqua però straripante di bei ricordi, a volte limpidi, a volte nebulosi e libri letti sotto l'ombrellone.

Ciao mare.
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Ascoltando:
Miles Davis, Porgy and Bess, 1958

mercoledì 9 giugno 2010

SAD EYED LADY OF THE LOWLANDS


Da adolescente sono sempre stato combattuto tra il frequentare persone più grandi di me, oppure i miei coetanei.

Sarà stata la curiosità, la voglia di crescere in fretta, oppure (e più probabile) il fatto che potevo farmi scorrazzare in macchina per tutta la provincia.

E non solo.

Parte delle vacanze estive le trascorrevo nel paese natale di mia madre, a casa dei miei zii.
Mio cugino invece che partire con loro per mete europee, rimaneva a casa.

Una macchina a disposizione e una patente.

Tra le varie uscite balorde, ricordo che una sera partimmo in direzione Bibione, credo di non aver neppure avvisato i miei genitori del fatto che avrei dormito fuori casa.

Forse feci una telefonata da una cabina, non ricordo.

Dopo una pizza con amici, la sera finimmo in discoteca, mi sembra si chiamasse Desideria, chissà se esiste ancora.

La discoteca scoprii essere frequentata anche da miei compaesani, mi ritrovai così di fronte uno dei miei sogni adolescenziali.

LEI.

Vincere la timidezza è semplice se sei distante da casa, per noi ragazzi di paese è così.

Ricordo gli occhi azzurri, una massa di capelli selvaggi, le labbra carnose.
Ricordo di essere riuscito a parlarci
Ricordo poi anche tante pacche sulle spalle degli amici a fine serata.

Si perché, a una certa età, sei degno di ammirazione anche solo per averci parlato, con una bella ragazza.
Bastava poco.

La sera dormii vestito sul freddo pavimento di una cucina, a farmi da cuscino una maglietta.
In quell’appartamento, quella notte, dormimmo in una decina.

Sempre meglio della spiaggia o dell'automobile.

Mi svegliai indolenzito, pieno di dolori da tutte le parti, ma con il sorriso di chi andava a cercare quella ragazza.

La sera prima mi aveva dato appuntamento in spiaggia e io non stavo nella pelle.

Dopo una frugale colazione al bar sotto l'appartamento, mi incamminai.

L'immagine di un ragazzo, sotto il sole di agosto, vestito con pantaloni corti, t-shirt e ai piedi un paio di anfibi, che vaga per la spiaggia di Bibione, mi ha accompagnato per tanto tempo.

E' l'immagine di una cieca determinazione?

Non credo fosse realmente determinazione, oppure l'ambizione di chiedere l'impossibile, sicuramente non era l'orgoglio di raccontare agli amici che l'avevo vista.

Cosa ci avrei guadagnato?

Ad ogni modo non trovai mai il luogo dell'appuntamento.

A volte è semplicemente l'ignoranza che ci fa vagare nella sabbia con un miraggio negli occhi.

Quel pizzico di follia, mista a consapevole ignoranza e stupore, è una delle poche cose che riesco ancora a tenere stretto della mia adolescenza.
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Ascoltando:
Bob Dylan, Blonde on Blonde, 1966

lunedì 24 maggio 2010

A TOUCHING DISPLAY

E' di qualche giorno fa il comunicato dell'ennesimo giornalista che decide di lasciare la televisione.

Nell'ultima settimana, dopo Michele Santoro, anche una giornalista del primo canale RAI ha deciso di ritagliarsi un po' di dignità nella sua carriera.

Come al solito chi da casa si cerca di informare, riesce anche a seguire il filo logico dei suddetti avvenimenti, invece chi si limita a fagocitare passivamente tutto ciò che passa al convento, non si accorgerà neppure della mancanza.

La televisione lentamente muore, anche grazie a scelte difficili di paladini come questi.

Per la prima volta finalmente riesco a cogliere il declino di questo fantastico mezzo che aveva innumerevoli potenzialità, ma che ha deciso di piegarsi alle logiche del mondo reale.

Un scatola piena di colori e suoni, che mi incantava da piccolo facendomi sognare.

Per un ragazzino come me di quartiere, che aveva un minuscolo francobollo di erba per giocare a calcio, la televisione era un ottimo diversivo nelle giornate di avverse condizioni atmosferiche.

Premendo il gigantesco pulsante rosso, fuoriuscivano robot, città post nucleari, lottatori assetati di sangue e supermaxieroi.

Il Cavaliere acquistava pacchetti mediatici ancora con il fiocco sopra, incurante del loro contenuto e del rispettivo ritorno economico, tutto era nuovo e avrebbe fatto odiens.

Soprattutto costava poco.

Lentamente il "payback" ha aggredito tutto nella società contemporanea, erodendo causticamente anche il tubo catodico.

Ma la massimizzazione del fatturato non basta, è necessario filtrare le informazioni, omologare le trasmissioni per omologare il pubblico.

Se ne rischierebbe il risveglio.

Trasmissioni dall'alto guadagno come Annozero hanno così cominciato a tremare, fino alla chiusura annunciata pochi giorni fa.

La televisione è vecchia e serve per cullare il sonno di chi non vuole svegliarsi.

Caro schermo scintillante pieno di nani, fate, maghi e pianure immacolate, ho mandato in tintoria il mio miglior abito.
Sono certo che vivrò abbastanza per partecipare al tuo funerale, sarò elegantissimo per farti onore.

Ti accenderò solo per vedere brevemente il monoscopio.
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Ascoltando:
Wire, 154, 1979

lunedì 17 maggio 2010

BOY WITH A COIN

Riguardo la crisi, dai primi cedimenti nel 2008 ad oggi, è stato detto di tutto e di più, le mie poche righe non aggiungeranno nulla.

Questo post, allo stesso modo del resto del blog, è un punto di vista dell’uomo della strada.

Pochi giorni fa ho sottratto dalla biblioteca della mia ragazza “Scritti Corsari” di Pier Paolo Pasolini.
La rilettura oggi, di quella raccolta di articoli che lo scrittore pubblicava tra il 1973 e il 1975, a tratti mi ha indignato.

Nonostante quelle parole siano distanti più di trent’anni, sono violente come uno schiaffo, colpiscono perché sembrano parole cadute nel vento, come se nessuno le avesse mai pronunciate, scritte.

Invece l’inchiostro è ancora fresco.

La scoperta di Pasolini per me è relativamente recente, i miei genitori me lo avevano descritto sempre come un personaggio deviato, strano, mentre mio zio materno lo ha sempre adorato per la poetica produzione friulana.

E’ solo leggendolo oggi, che si rende evidente conto quanto il suo sia stato un omicidio politico, inscrivibile all’interno della strategia della tensione.

Tutto quello che sono riuscito a cogliere dalla lettura dei suoi scritti, dall’ascolto delle sue interviste rilasciate per la televisione, ha illuminato la mia visione riguardo la società contemporanea.

Se alcuni poteri e cambiamenti stavano trasformando il tessuto sociale mentre Pasolini era ancora in vita, altri fenomeni possiamo invece dire che li abbia anticipati, addirittura previsti con uno sbalorditivo anticipo.

Il vuoto della società contadina che attendeva di essere riempito, descritto spesso da lui negli “Scritti corsari”, è stato occupato con il passare del tempo dalla borghesia.

Un lento processo di analfabetizzazione culturale operato dai mass media.

Quella che era la cultura contadina, fatta di persone semplici, timidamente ignoranti, fervidamente credenti ma ricche di valori e umiltà, è stata sostituita dall’agglomerato informe della società del consumo.

Produciconsumacrepa.

Oggi la catena economia che si credeva oliata e perfettamente funzionante, si è rotta e non ne vuole sapere di  ripartire.

Non credo sia solo un problema di poca disponibilità economica, non credo nemmeno che sia legata all’attuale economia di oligopoli, che uccide la libera concorrenza arricchendo di fatto chi era già ricco.

Penso invece che l’acquisto oggi sia oggetto di una attenzione edonistica da parte dell’acquirente.

La difficoltà dei commercianti oggi non è semplicemente imputabile alla concorrenza, ma al fatto che l’acquirente valuta molto prima di acquistare qualunque cosa.

Caratteristiche come “furbizia” e “bravura” tornano ad essere qualità positive per chi acquista, l’obiettivo è riuscire a spendere meno, anche quando il fattore economico non attanaglia il soggetto in questione.

L’occasione è come un trofeo portato con fierezza, anche se spesso la ricerca ha occupato tempo, quindi risorse, a raffronto magari di pochi euro di differenza.

Internet ci ha modificato anche in questo, ci ha resi più curiosi, meno passivi.

Per anni la televisione è entrata nelle nostre case dicendoci ciò che era giusto o sbagliato.
Oggi la diffidenza serpeggia nella rete, il raffronto incrociato è prassi.

La consapevolezza è nemica del consumismo.

Sono fiducioso, credo che una lenta rivoluzione sia iniziata, segnali e allarmi entrano nella nostra camera attraverso i social network.

Ci informano, a volte ci disinformano, ci mettono paura ma ci fanno sentire vivi.

Se i luoghi di incontro si sono ridotti a tintinnanti bar da aperitivo, dove i rapporti sono superficiali ed effimeri, ben vengano strumenti come blog e facebook.

Spesso all’interno di queste locande virtuali, ho trovato persone più interessanti che in quelle del mio paese, peccato manchi il profumo di cabernet e soppressa.

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Ascoltando: Iron and Wine, The Shepherd's Dog, 2007

martedì 13 aprile 2010

BE.......I'S DEAD (Bela Lugosi's Dead)

Mai come in quest'ultimo periodo si è parlato di B., è chiaro che l'organizzazione di giornate come il "No B. Day" siano chiarificatrici in questo senso.
Orde di giornalisti, da Travaglio a Feltri, da Vespa a Zucconi, vivono letteralmente grazie alla sua persona.

Oggi basta una lettera per nominarlo, persino E.T. ne necessitava due.

Ogni sua mossa, ogni suo scheletro nell'armadio viene prontamente sbattuto in prima pagina e discusso su tutti i media con un fervore che non ha precedenti.

Così quando in un documentario della BBC, mi sono sentito paragonare B. ai Beatles, ho fatto subito riferimento alla copertina di Rolling Stones Italia di dicembre 2009, in cui il nostro veniva eletto a personaggio rock dell'anno.

Ancora prima della vignetta di Staino, ho cercato più volte ad immaginarmi il mio paese senza di lui.

Non sono mai riuscito a disegnare uno scenario, eppure sono un creativo.

Si tende spesso a caricare tutti i mali del nostro sistema politico su una singola persona, io credo che le persone nella nostra società possano fare molto, ma non tutto.

Tutti i grandi personaggi della storia si nutrivano di un substrato culturale che li sovralimentava rendendoli ancora più forti, dopati.

Il mio timore è che, dopo il suo passaggio a miglior vita, possano scorrere ancor più fiumi d'inchiostro di quanti se ne sono spesi in questi ultimi anni.
B. non potrà mai avere un delfino, resterà come un dittatore, un caso isolato.

Non so se la mia passione per il Movimento Cinque Stelle, tragga forza da una mia semplicistica ed egoistica voglia di avere la coscienza a posto.

Quello che propone Grillo sul suo Blog è universalmente condivisibile, giusto, onesto e pulito.

Eppure, nonostante fosse uno dei pochi ad aver spiegato perfettamente il contenuto del suo programma, nel corso delle ultime elezioni non ha conquistato percentuali rilevanti.
Addiritttura nelle regioni in cui ha avuto un risultato soddisfacente, si è preso pure insulti da parte del Pd e dei relativi sostenitori.

Nonostante la mia simpatia per il Movimento, non so se una democrazia dal basso sia attuabile, soprattutto in Italia.

Ogni paese ha bisogno di una forma di governo specifica e, come la storia insegna, se non ce l'ha piano piano la sua struttura si assesta finché il tutto funzionerà al meglio.

Nel Belpaese siamo abituati a pagare qualcuno perché ci risolva i problemi, ci offra un servizio.

Siamo troppo impegnati con il lavoro (finché c'é), la famiglia (idem), la televisione (idem), i social network, così delegare è divenuto imperativo.

Delegare ad una rockstar, agli occhi di qualsiasi disinformato, fa sentire meglio rispetto che affidarci a figure poco convincenti dal punto di vista mediatico.

Non sono le televisioni, il denaro, il potere a rendere B. inattaccabile.
Così inattaccabile da augurargli disgrazie mediante vignette.

E' piuttosto la mancanza di scenari alternativi che spaventa gli italiani.
Anche quelli che, informandosi, temono per il domani come me.
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Ascoltando: Bauhaus, Press Eject and Give Me The tape, 1995

lunedì 12 aprile 2010

LINEA GOTICA

La vignetta di Staino pubblicata su L'Unità di domenica, ha suscitato non poco clamore da parte di quasi tutti gli schieramenti politici.
Nell’illustrazione è rappresentato Bobo (storico personaggio presente nelle strips del vignettista) che dice a sua figlia: “Novantasei membri del governo polacco spariti in un colpo.”
Ilaria risponde: "La solita storia: a chi troppo e a chi niente"

Il riferimento alla politica italiana è evidente.

L'attuale governo è rappresentato da uomini che si vantano di parlare all'elettorato, dicendo le cose che tutti pensano, ma nessuno ha il coraggio di dire.
Sono certo anche che alcuni, alla tragica notizia dell'incidente aereo, hanno sperato nell'intervento di una giustizia divina, per attuare i propri desideri politici in Italia.

Penso però che argomenti come la morte e la malattia, possano escludersi automaticamente come argomento di scherno e derisione.

Sottolineo che questo sia auspicabile come atteggiamento contemporaneo, la storia dell’uomo infatti  è costellata di esempi di irrisione della morte, al fine di renderla meno tragica.

Ridere per vincere la paura.


Nell'ultimo periodo mi sto interrogando su quale sia il limite della satira, complice anche la lettura parallela dell'ultimo libro di Luttazzi.

Francamente non mi interessa se certe forme d'arte offendano Feltri oppure Belpietro, Zucconi o Travaglio.

La satira è un'arte, è comunicazione, semplicemente condivisibile o no, il semplice fatto che ci sia ci fa sentire più liberi perché ci fa capire che l’espressione non è imbrigliata dalla censura.

Quanti artisti avremmo perso, se la censura fosse stata ancora più cieca di quanto non lo sia stata in passato.

Per me il "Pissing Christ" di Serrano non è un'opere d'arte, ma semplicemente una provocazione bella e buona.

Decenza e buongusto dovrebbero regolare le forme di espressione, non l’esplosione di un artista a fronte di personali rotture di vincoli.


L’arte non dovrebbe essere solo un egocentrico sfogo,  togliersi sassolini, anche se sono macigni..

Se inscatolando merda e firmando orinatoi, Manzoni e Duchamp non hanno fatto del male e nessuno, Staino e Serrano, a mio avviso ,si sono spinti oltre la linea di demarcazione .

Quel tratto leggero e tremolante che divide l'arte dalla sterile, ma violenta, provocazione.

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Ascoltando: Consorzio Suonatori Indipendenti, Linea Gotica, 1996

sabato 3 aprile 2010

PERSONE SILENZIOSE

Recentemente ho guardato un filmato di una conferenza tenuta da Renzo Piano sulla tematica “Cos’è l'architettura”.

Devo dire che sono partito con dei preconcetti abbastanza forti.
L'avevo vista infatti, soprattutto nel titolo volutamente eccessivo, come una mossa decisamente egocentrica e pretenziosa.

Piano è un architetto che ho visto poco amato in ambito accademico, perlomeno negli anni in cui io ho studiato a Venezia.
Col passare del tempo mi sono fatto l'idea che forse innanzitutto vi era una gran componente di invidia, ma anche perché nel suo operato egli non si è mai piegato a un manierismo, non si è lanciato ciecamente all’inseguimento di un’estetica fine a se stessa.
Ciò lo ha reso di difficile identificazione.

Gli accademici hanno infatti continuamente bisogno di parametri, per catalogare persone e opere in correnti, non riuscendo a farlo, si trovano spiazzati.

Mentre l'architetto genovese spiegava questa nobile arte attraverso il suo operato, mi è capitato di soffermarmi su una parte forse meno squisitamente legata all'architettura.

Era il racconto di un Piano ragazzino, cresciuto nel dopoguerra, il quale narrava di come le cose in quegli anni migliorassero di giorno in giorno.

Le città erano sempre più belle, il cibo era sempre migliore, le persone più felici.
Nei suoi occhi sembrava di ripercorrere il nostro paese che stava fiorendo.

Queste sensazioni positive, diceva, ti entrano nella pelle e ti accompagnano per tutta la vita.

Se penso a cosa mi porto io sotto la pelle, sono bei ricordi di un’infanzia e una adolescenza spensierate.

Ma sono anche anni di pance piene, di consumismo, di oggetti comprati e gettati senza domandarsi dove andassero a finire.
Anni di vacche grasse munte a dismisura.
Anni di corruzione, di cose taciute, di benessere di facciata, di “comevàbenegrazietègrazieanchioscusamadevoscappare".

Anni in cui l'invenzione delle esigenze si è sostituita alla semplice soddisfazione di bisogni.

Questo è un anno in cui si parla e si parlerà poco della situazione economica, anche se le previsioni non sono delle più floride, salteranno infatti molti altri posti di lavoro.

Le televisioni continuano invece a sventolare tette e culi.

L'orchestra suonerà mentre il Titanic sta affondando.

Negli occhi delle persone leggo la paura, la leggo talvolta anche quando mi guardo allo specchio.

L’omertà dei media, ha come conseguenza principale l'idea che parlare dei problemi, sia un male.

Un veicolo di sventura.

Come se un fallimento dovesse essere a tutti i costi nascosto.

Vogliono farci dimenticare che, gran parte delle persone che siamo costretti a vedere sui rotocalchi e in televisioni, sono veri e propri esempi di fallimenti.

Depravati, incapaci di costruire una famiglia sana, individui senza dignità sotto megawatt di riflettori.

Esseri meschini coperti da coltri di cerone.

Ci stanno consegnando tra le mani un’italiucola di persone incapaci di chiedere scusa, di rendersi conto dei propri errori e ripartire.

Questa è l'Italia che la mia generazione si porta sotto la pelle.

Un paese di persone silenziose.
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Ascoltando
Luca Carboni, Persone Silenziose, 1989

martedì 16 marzo 2010

SAY HELLO TO THE ANGELS


Si avvicinano le elezioni e il clima politico si fa sempre più infuocato.
A colpi di intercettazioni, dimostrazioni di forza, accuse e processi, si cerca di tirare l'acqua al proprio mulino.

I mezzi di informazione sono in mano a due persone, facciamo tre, ognuna appartenente a uno schieramento politico.

Anche se, in pratica, i finanziamenti li paghiamo noi ogni giorno con le nostre tasse.

Per informarmi, insomma, sono costretto a pagare due volte lo stesso quotidiano, conscio del fatto che sostengo anche quelli che considero spazzatura e inattendibili.

A volte penso cosa deve essere stata l'informazione della prima repubblica.
Utilizzo convenzionalmente questa accezione perché storica, nulla in verità è cambiato.

Mio padre si guardava telegiornali palesemente schierati, per avere un'informazione decente doveva leggersi tre quotidiani e fare la media.
Oggi ne legge solo uno, da buon pensionato preferisce sentirsi dire ciò che gli piace.

Le notizie che invece mi sorbisco ogni giorno, rimbalzano a suon di radiogiornali, internet, telegionali.
Subito sono pronte le vignette satiriche, i messaggi di facebook e twitter, i commenti di risposta scritti da chi invece non la pensa come noi.

Questo turbinio di indignazione si spegne in breve tempo.
Marco Paolini in uno spettacolo giustamente ha asserito che «In Italia l’indignazione dura meno dell’orgasmo. E poi viene sonno».

Un fuoco che arde il doppio dura la metà.

Non mi sento di biasimare i politici quando parlano di una legge sulle intercettazioni.

La popolazione italiana in media ha 43 anni, le alte cariche dello stato invece sono dei dinosauri, caratterizzati da un lungo passato e un breve futuro.

Vogliono farsi i loro affari in tranquillità.
Senza gente tra le palle.

Se immaginiamo cos'è stato perpetrato per anni nel nostro paese, una presunta telefonata a un direttore di un telegiornale per bacchettarlo è un'inezia.

Ottantuno persone hanno perso la vita tra le isole di Ponza e Ustica.

Non si contano le prove che sono state fatte sparire, i depistaggi, le dodici morti sospette di persone legate alla tragedia.

Tre di questi, morti impiccati.

Se cerco di staccarmi oggi da questo brulicare di persone, rese rabbiose da abili burattinai, non riesco a vedere cosa rimarrà domani.

Non riesco ad immaginare cosa sinteticamente scriveranno i libri di storia.

Probabilmente diranno che, mentre la nostra repubblica delle banane si stava affossando distrutta dai debiti, dalle folli spese del governo, da un terreno puzzolente saturo di rifiuti tossici, noi ci battevamo per i calzini azzurri o per imbavagliare Travaglio.
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Ascoltando
Interpol, Turn on the Bright Lights, 2002

lunedì 15 marzo 2010

CHILD IN TIME


La "Festa della donna" da poco trascorsa, mi ha lasciato l'immagine di una marea di donne festanti senza freni inibitori.
Donne che si divertono all'interno di un locale, dove l'uomo era relegato a servirle e farle divertire.

Una boccata d'aria, per le molte che spesso non possono uscire, a causa di svariati problemi: i lavori da svolgere in casa, i pargoli urlanti o un ragazzo troppo geloso.

Ogni anno si tende a dire che si dovrebbe fare di più per loro.

Testate giornalistiche, ogni inizio marzo di tutti gli anni, elencano le quote rosa all'interno dei vari governi europei.
Un servizio che termina con la figura della forte donna manager.

Una recente indagine ha dimostrato tre quarti degli uomini dirigenti d'azienda pensano che la donna meriti di più.
La stessa percentuale pensa che la maternità sia un problema.

La maternità costa ogni anno meno dello 0,25% dei costi di gestione del personale, il che in se non è un granché.

A questo irrisorio costo si aggiungono le formazioni da fare per le sostitute, gli affiancamenti e il reinserimento della neomamma, sommati fanno poco più di ventitremila euro.

Praticamente le spese di cancelleria per una medio-grande impresa.

"So' tre etti sinniora, che faccio sinniora, lassio???"


Nonostante questo, dopo il primo figlio, il 25% delle donne del Sud si ritrovano disoccupate, mentre al nord "solo" un 19%.

A queste paure si sommano i timori di quanto costi mantenere un figlio, anche in termini di tempo.

Da piccolo ho passato veramente poco tempo con i miei genitori, nonostante questo sono riusciti a trasmettermi tanto.
Penso che sia difficile trasferire qualcosa con poco tempo.

Oggi ci pensano la scuola e i media.
E' in questo che c'è da avere paura.

Un figlio è diventato un vero e proprio bene di lusso.

La conseguenza è una ritardo nella decisione di procreare, ciò si traduce in parti cesarei sempre più difficili e genitori sempre più stanchi.

Una società che non è sostenibile sotto il punto di vista della procreazione, è una società destinata a morire.

Altro che allungamento dell'aspettativa di vita.

Non sono la sterilità, l'impotenza, l'individualismo, le coppie che non funzionano a uccidere la nostra popolazione.

E' l'aver reso il principio base della nostra esistenza un lusso.
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Ascoltando
Deep Purple, Made in Japan, 1972

giovedì 11 marzo 2010

ONE


Complice forse questa folle neve a metà marzo, guardando fuori dalla finestra dell'ufficio, ieri il paesaggio mi è parso più sinistro del solito.

Una serie di pensieri senza logica apparente si sono accavallati, allora ho cercato di trovare un filo logico.

Un pretesto.

Il clima si annunciava ostile già da inizio settimana, un vento gelido soffiava animando oggetti e alberi.
Uscendo da casa mia, mi sono immesso in un viale alberato, dove una serie di macchine continuava a fare slalom invadendo l'altra corsia.

Un ramo era caduto in terra e nessuno lo aveva raccolto.

Mi sono così domandato quanto tempo sarebbe rimasto a terra quell'enorme ramo prima che qualcuno rendesse un favore alla comunità.

Si perché sono queste piccole cose che rendono migliore la vita agli altri.

Respiro l'aria e sembra che tutti i giorni siano intrisi di quel rarrefatto nevischio che si insinuava nelle mie narici.
E' un'atmosfera gelida, dove il concetto di comunità si è evoluto, alterando il nostro senso di condivisione.

Ricordo le navigazioni all'interno degli internet café nella metà degli anni '90, e le discussioni con la mia ragazza di allora, incentrate su quale sito visitare.

Oggi la navigazione di gruppo è impensabile, al limite navighi e poi condividi.

Il web 2.0 ci permette di fare cose veramente interessanti, ma spesso è una egocentrica esistenza all'interno di un sistema pressoché infinito, in continua espansione.

Attraverso la condivisione di link, adesione a gruppi su facebook e semplici click, crediamo che il sistema migliori.

Sarebbe opportuno però accorgerci che mentre le nostre comunità sul web, i nostri blog e i nostri profili su facebook sono sempre più eticamente attivi, ecologicamente coerenti e politicamente indignati, i rami marciscono in mezzo alle strade, ostruendole.
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Ascoltando
U2, Achtung Baby, 1991

giovedì 18 febbraio 2010

SOMETHING STUPID


L'ultima campagna marketing della nota marca di jeans Diesel, esorta alla stupidità.
Nella mia ultima visita a Venezia in occasione dell'apertura del Carnevale, mi è capitato di passare di fronte a vetrine del brand su cui capeggiava la scritta "Be stupid".

Negli stessi giorni, ascoltando la trasmissione radiofonica Deejay chiama Italia, il titolare Renzo Rosso ha delucidato gli ascoltatori riguardo il significato dello slogan.

A volte sono le idee degli idioti ad essere vincenti.

Solo attraverso un distaccamento dalla realtà possiamo allontanarci dalle convenzioni e trovare idee vincenti.

Ovviamente si tratta di una provocazione, probabilmente "Sii incosciente" non suonava così bene.

A volte scopro l'acqua calda e lo faccio con il consueto incanto.
Forse sono i collegamenti e le coincidenze che trovo sorprendenti.

Mi è capitato così di rimanere allibito ascoltando lo stesso giorno un deejay riassumere la storia di Richard Branson.
A soli 22 anni decise di fondare una casa discografica assieme a Nik Powell.

Dato che erano nuovi del mestiere, decisero di chiamarla Virgin Records.

Come primo disco, presero l'opera di uno sconosciuto diciannovenne che aveva composto una lunga suite musicale che occupava un intero album.
Tubular Bells part I e II erano gli unici due brani di questo capolavoro, dove una ventina di strumenti venivano suonati dal giovane Mike Oldfield.

Successivamente l’etichetta ebbe il coraggio di produrre band come i Sex Pistols e i Genesis.

Pochi anni fa il mondo musicale ha visto tremare le industrie di fronte al mercato.
Non credo che sia il download forsennato a uccidere l'industria discografica.
Si è trattato semplicemente dell'avvento di un altro mercato, al quale le etichette non erano pronte.

Non sono riuscite a inseguire l’acquirente.

Ventri opulenti appesantiti dal benessere.

Steve Jobs ha insegnato al mondo che i brani uno può farseli scaricare ma anche pagare.

In un mercato musicale sempre più frammentato, dove vengono pubblicati circa 20 album al giorno, le piccole case indipendenti vivono e proliferano.

Ovviamente non ci sono i guadagni di un tempo, ma sono anni in cui se si vogliono fare le cose che ci piacciono, è meglio accontentarsi.

I mass media sono completamente sterili, sembra che i colossi stiano vacillando di fronte a veicoli come i social network e i supporti di etichette indipendenti.

Ci sono centinaia di piccoli imprenditori accomunati dall'incoscienza di investire in emeriti sconosciuti, semplicemente perché muovono le loro corde.

Non si pongono troppe domande, si lasciano stupidamente cullare dalle emozioni.
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Ascoltando
Frank Sinatra

giovedì 11 febbraio 2010

SIGN YOUR NAME


In questa Italia sempre più vicina sempre più simile agli Stati Uniti contenuti nelle pagine di "Furore" di John Steinbeck, i saldi sono estesi a beni sempre più ampi.

In tempi di crisi si aguzza l'ingegno, trovando sbocchi e doppifondi di barili.

Giorni fa, è stato stilato l'operato delle indagini riguardanti il lavoro nero dei braccianti.
Nel 2009, l'Inps ha recuperato tra evasioni e varie un miliardo e 502 milioni di euro, ovviamente a livello teorico.

Il difficile, in questi casi, è come al solito recuperare realmente queste cifre.

Sempre all'interno di quest'inchiesta si è scoperta un'attività parallela.
Mentre altre aziende non assumevano e sottopagavano gli extracomunitari, a Battipaglia invece le aziende assumevano a profusione.

Ovviamente nulla è lasciato al caso, le assunzioni erano fasulle e le agenzie di collocamento, illegali, utilizzavano queste società solamente per far entrare nel nostro paese dei finti braccianti.

Le mezzadre venivano poi smerciate nel mercato delle badanti e delle colf.

Quello che ha dell'inverosimile, è che una delle suddette società era di proprietà di un barbone della stazione Battipaglia.
Il clochard aveva ceduto il proprio nome e i dati, in cambio di una vecchia automobile dove poter coricarsi la notte.

Si ritrovava così a sua insaputa a capo di cinquecento dipendenti, fasulli.

Anche il nostro nome viene immesso giornalmente in form, iscrizioni a social network, mailing list, multiple caselle di posta.

Nella videocracy, la società dell'immagine, le fotografie e le immagini cominciano ad avere sempre meno forza, impatto.
Il nostro quarto d'ora warholiano si sta dilatando.

Quanto vale il mio nome?
Quanto valgono i miei dati?
Continuare a scrivere il mio nome e vederlo comparire su videate internet, non gli toglie forse valore?

Così mi tornano in mente le parole che Calvino mise in bocca a Marco Polo: "Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano".

Forse è per questo che scrivo anch'io.
Per dimenticare.
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Ascoltando
Terence Trent D'Arby, Introducing the Hardline According to Terence Trent d'Arby, 1987

mercoledì 3 febbraio 2010

ANIMAL MAGIC


Il magnifico nord-est, in cui vivo, gode di numerosi e prestigiosi primati.
Uno tra i tanti, si riferisce alla concentrazione nel territorio di cartomanti e maghi.

Dove ci sono tanti soldi ci sono tanti avvoltoi.

Quando esplose la vicenda delle Marchi, seguii con estremo interesse il susseguirsi degli avvenimenti e dell’epilogo, che ebbero come attrice principale (guarda caso), proprio un’anziana signora veneta.

La magia è un mondo che mi ha sempre affascinato.
Penso che chi si rivolge a un mago, abbia decisamente bisogno di aiuto.

Non conoscevo invece i dati di questa economia, oscura anche dal punto di vista fiscale.

Undici milioni di italiani ogni anno fanno riferimento a veggenti, cartomanti e astrologi, con un giro di affari di sei miliardi di euro.

Praticamente quanto una finanziaria.

Questi introiti sono esenti tasse, in quanto l'evasione di questi ciarlatani è quasi totale.
La professione ha radici ataviche, ma da una veloce analisi dei dati, si può fare un identikit della vittima preferita dai veggenti odierni.

La preda tipo è una quarantacinquenne donna del nord, con un diploma di scuola media inferiore e irrimediabili problemi d’amore.
Viste le tariffe, se ne deduce che sia anche una persona facoltosa, o perlomeno che abbia deciso di investire parte dei suoi averi per poter risolvere le sue questioni di cuore.

Le sfumature del dolore sono infinite, così come le cure.

L'individualismo dilagante e la psicanalisi fai da te, hanno offerto il miraggio di diventare medici di se stessi.

Non sempre è possibile.

Così quando non si riesce più a trovare un appiglio, si estrae il libretto degli assegni e ci si rivolge a un estraneo, pagandolo per ascoltarci.

Più di trentamila italiani lo fanno ogni giorno.

Sono gli stessi italiani che ogni giorno attaccano la chiesa cattolica da tutti i fronti, come se l’indignazione ridesse loro la dignità, dopo anni di obbligato oscurantismo bigotto.

La consapevolezza a volte ti fa venire voglia di gridare, così come urla un bambino appena nato.

Personalmente non ho voglia di urlare cosa è successo nelle parrocchie statunitensi e irlandesi.

Non ho voglia di urlare gli errori della chiesa nei millenni.

Chi non ha voglia di ascoltare non ascolterebbe.
Chi non é pronto per le informazioni non capirebbe.

Mi verrebbe piuttosto da sussurrare a queste persone che, se hanno bisogno di aiuto, cerchino una persona che la sappia ascoltare.

Che questa persona sia un prete cattolico, un centro di ascolto o uno psicologo non è di mio interesse.
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Ascoltando
Peter Gabriel, Peter Gabriel (detto 2 o Scratch), 1978

giovedì 7 gennaio 2010

TRANSMISSION


La quantità di informazioni alle quali accediamo ogni giorno è diventata insostenibile.

E’ sufficiente pensare alla somma di dati che ci giungono dalla rete, dalla televisione e dalla radio, per poter esplodere in un giorno solo.

A breve, una delle qualità maggiormente richieste nel mondo del lavoro e nella vita sociale sarà la cosiddetta “infotention”, cioè la capacità di filtrare le informazioni che ci servono, scartando il superfluo.

La continua diffusione di notizie fasulle, leggende metropolitane e voci inventate di sana pianta, ci costringeranno a perdere del tempo per sincerarci della loro attendibilità.
Nessun filtro anti-spam ci potrà aiutare in questo, non è pensabile alcun automatismo per processi complessi come questo.

L’unico sistema per poter attivare un filtraggio sarà la componente ambientale, quindi scegliere alcuni comportamenti piuttosto che altri, a cominciare dalle persone frequente nei social network e dai siti.

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

Un esempio interessante, inerente il brodo primordiale nel quale si muovono gli internauti, è l’esplosione di siti che ospitano domande e risposte.
Come agli albori del web, questi portali simulano i tanto amati gruppi di discussione all'interno dei quali dei volontari utenti come noi, ti potevano aiutare a risolvere un dubbio o un problema.

L'internauta medio oggi si affida a questi siti e a Wikipedia, perdendo il gusto della ricerca e adagiandosi su informazioni senza pesarle.

Per quanto riguarda il filtraggio delle informazioni, studiosi come Howard Rheingold propongono i Feed RSS e gli aggregatori degli stessi, ad esempio Google Reader che permette di assemblare tutti gli RSS ai quali ci siamo “abbonati”.

Diventeremmo a tutti gli affetti dei redattori di un giornale costruito per noi, non la modifica di un quotidiano, ma l'assemblaggio di un patchwork nuovo di zecca.

Scegliendo e valutando siti attendibili, potremmo generare un flusso di informazioni mirato.

Il passo successivo sarà quello di filtrare le informazioni che richiederanno pronta attenzione e quelle che potranno essere valutate successivamente.

Abbiamo potuto osservare, che il compito di chi diffonde l’informazione, oggi non è più quello di sincerarsi della sua attendibilità, ma di diffonderla il più presto possibile e nel modo più roboante.

Questo può essere osservato in alcune testate giornalistiche, ma anche nei messaggi di stato di Facebook o di Twitter.

E terribile pensare che la distinzione tra la realtà e la finzione dovrà essere fatta da chi utilizzerà le informazioni, e non da chi le doveva diffondere.

Dovremmo cominciare a fare gli stessi passi che sono stati compiuti riguardo lo smaltimento dei rifiuti tossici e la raccolta differenziata.

Sensibilizzare chi non sa se inoltrare una catena di sant’Antonio, pubblicare link e articoli, potrebbe salvarci il futuro da una inevitabile Babele.
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Ascoltando:
Joy Division, Permanent, 1995