martedì 16 marzo 2010

SAY HELLO TO THE ANGELS


Si avvicinano le elezioni e il clima politico si fa sempre più infuocato.
A colpi di intercettazioni, dimostrazioni di forza, accuse e processi, si cerca di tirare l'acqua al proprio mulino.

I mezzi di informazione sono in mano a due persone, facciamo tre, ognuna appartenente a uno schieramento politico.

Anche se, in pratica, i finanziamenti li paghiamo noi ogni giorno con le nostre tasse.

Per informarmi, insomma, sono costretto a pagare due volte lo stesso quotidiano, conscio del fatto che sostengo anche quelli che considero spazzatura e inattendibili.

A volte penso cosa deve essere stata l'informazione della prima repubblica.
Utilizzo convenzionalmente questa accezione perché storica, nulla in verità è cambiato.

Mio padre si guardava telegiornali palesemente schierati, per avere un'informazione decente doveva leggersi tre quotidiani e fare la media.
Oggi ne legge solo uno, da buon pensionato preferisce sentirsi dire ciò che gli piace.

Le notizie che invece mi sorbisco ogni giorno, rimbalzano a suon di radiogiornali, internet, telegionali.
Subito sono pronte le vignette satiriche, i messaggi di facebook e twitter, i commenti di risposta scritti da chi invece non la pensa come noi.

Questo turbinio di indignazione si spegne in breve tempo.
Marco Paolini in uno spettacolo giustamente ha asserito che «In Italia l’indignazione dura meno dell’orgasmo. E poi viene sonno».

Un fuoco che arde il doppio dura la metà.

Non mi sento di biasimare i politici quando parlano di una legge sulle intercettazioni.

La popolazione italiana in media ha 43 anni, le alte cariche dello stato invece sono dei dinosauri, caratterizzati da un lungo passato e un breve futuro.

Vogliono farsi i loro affari in tranquillità.
Senza gente tra le palle.

Se immaginiamo cos'è stato perpetrato per anni nel nostro paese, una presunta telefonata a un direttore di un telegiornale per bacchettarlo è un'inezia.

Ottantuno persone hanno perso la vita tra le isole di Ponza e Ustica.

Non si contano le prove che sono state fatte sparire, i depistaggi, le dodici morti sospette di persone legate alla tragedia.

Tre di questi, morti impiccati.

Se cerco di staccarmi oggi da questo brulicare di persone, rese rabbiose da abili burattinai, non riesco a vedere cosa rimarrà domani.

Non riesco ad immaginare cosa sinteticamente scriveranno i libri di storia.

Probabilmente diranno che, mentre la nostra repubblica delle banane si stava affossando distrutta dai debiti, dalle folli spese del governo, da un terreno puzzolente saturo di rifiuti tossici, noi ci battevamo per i calzini azzurri o per imbavagliare Travaglio.
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Ascoltando
Interpol, Turn on the Bright Lights, 2002

lunedì 15 marzo 2010

CHILD IN TIME


La "Festa della donna" da poco trascorsa, mi ha lasciato l'immagine di una marea di donne festanti senza freni inibitori.
Donne che si divertono all'interno di un locale, dove l'uomo era relegato a servirle e farle divertire.

Una boccata d'aria, per le molte che spesso non possono uscire, a causa di svariati problemi: i lavori da svolgere in casa, i pargoli urlanti o un ragazzo troppo geloso.

Ogni anno si tende a dire che si dovrebbe fare di più per loro.

Testate giornalistiche, ogni inizio marzo di tutti gli anni, elencano le quote rosa all'interno dei vari governi europei.
Un servizio che termina con la figura della forte donna manager.

Una recente indagine ha dimostrato tre quarti degli uomini dirigenti d'azienda pensano che la donna meriti di più.
La stessa percentuale pensa che la maternità sia un problema.

La maternità costa ogni anno meno dello 0,25% dei costi di gestione del personale, il che in se non è un granché.

A questo irrisorio costo si aggiungono le formazioni da fare per le sostitute, gli affiancamenti e il reinserimento della neomamma, sommati fanno poco più di ventitremila euro.

Praticamente le spese di cancelleria per una medio-grande impresa.

"So' tre etti sinniora, che faccio sinniora, lassio???"


Nonostante questo, dopo il primo figlio, il 25% delle donne del Sud si ritrovano disoccupate, mentre al nord "solo" un 19%.

A queste paure si sommano i timori di quanto costi mantenere un figlio, anche in termini di tempo.

Da piccolo ho passato veramente poco tempo con i miei genitori, nonostante questo sono riusciti a trasmettermi tanto.
Penso che sia difficile trasferire qualcosa con poco tempo.

Oggi ci pensano la scuola e i media.
E' in questo che c'è da avere paura.

Un figlio è diventato un vero e proprio bene di lusso.

La conseguenza è una ritardo nella decisione di procreare, ciò si traduce in parti cesarei sempre più difficili e genitori sempre più stanchi.

Una società che non è sostenibile sotto il punto di vista della procreazione, è una società destinata a morire.

Altro che allungamento dell'aspettativa di vita.

Non sono la sterilità, l'impotenza, l'individualismo, le coppie che non funzionano a uccidere la nostra popolazione.

E' l'aver reso il principio base della nostra esistenza un lusso.
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Ascoltando
Deep Purple, Made in Japan, 1972

giovedì 11 marzo 2010

ONE


Complice forse questa folle neve a metà marzo, guardando fuori dalla finestra dell'ufficio, ieri il paesaggio mi è parso più sinistro del solito.

Una serie di pensieri senza logica apparente si sono accavallati, allora ho cercato di trovare un filo logico.

Un pretesto.

Il clima si annunciava ostile già da inizio settimana, un vento gelido soffiava animando oggetti e alberi.
Uscendo da casa mia, mi sono immesso in un viale alberato, dove una serie di macchine continuava a fare slalom invadendo l'altra corsia.

Un ramo era caduto in terra e nessuno lo aveva raccolto.

Mi sono così domandato quanto tempo sarebbe rimasto a terra quell'enorme ramo prima che qualcuno rendesse un favore alla comunità.

Si perché sono queste piccole cose che rendono migliore la vita agli altri.

Respiro l'aria e sembra che tutti i giorni siano intrisi di quel rarrefatto nevischio che si insinuava nelle mie narici.
E' un'atmosfera gelida, dove il concetto di comunità si è evoluto, alterando il nostro senso di condivisione.

Ricordo le navigazioni all'interno degli internet café nella metà degli anni '90, e le discussioni con la mia ragazza di allora, incentrate su quale sito visitare.

Oggi la navigazione di gruppo è impensabile, al limite navighi e poi condividi.

Il web 2.0 ci permette di fare cose veramente interessanti, ma spesso è una egocentrica esistenza all'interno di un sistema pressoché infinito, in continua espansione.

Attraverso la condivisione di link, adesione a gruppi su facebook e semplici click, crediamo che il sistema migliori.

Sarebbe opportuno però accorgerci che mentre le nostre comunità sul web, i nostri blog e i nostri profili su facebook sono sempre più eticamente attivi, ecologicamente coerenti e politicamente indignati, i rami marciscono in mezzo alle strade, ostruendole.
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Ascoltando
U2, Achtung Baby, 1991