lunedì 24 maggio 2010

A TOUCHING DISPLAY

E' di qualche giorno fa il comunicato dell'ennesimo giornalista che decide di lasciare la televisione.

Nell'ultima settimana, dopo Michele Santoro, anche una giornalista del primo canale RAI ha deciso di ritagliarsi un po' di dignità nella sua carriera.

Come al solito chi da casa si cerca di informare, riesce anche a seguire il filo logico dei suddetti avvenimenti, invece chi si limita a fagocitare passivamente tutto ciò che passa al convento, non si accorgerà neppure della mancanza.

La televisione lentamente muore, anche grazie a scelte difficili di paladini come questi.

Per la prima volta finalmente riesco a cogliere il declino di questo fantastico mezzo che aveva innumerevoli potenzialità, ma che ha deciso di piegarsi alle logiche del mondo reale.

Un scatola piena di colori e suoni, che mi incantava da piccolo facendomi sognare.

Per un ragazzino come me di quartiere, che aveva un minuscolo francobollo di erba per giocare a calcio, la televisione era un ottimo diversivo nelle giornate di avverse condizioni atmosferiche.

Premendo il gigantesco pulsante rosso, fuoriuscivano robot, città post nucleari, lottatori assetati di sangue e supermaxieroi.

Il Cavaliere acquistava pacchetti mediatici ancora con il fiocco sopra, incurante del loro contenuto e del rispettivo ritorno economico, tutto era nuovo e avrebbe fatto odiens.

Soprattutto costava poco.

Lentamente il "payback" ha aggredito tutto nella società contemporanea, erodendo causticamente anche il tubo catodico.

Ma la massimizzazione del fatturato non basta, è necessario filtrare le informazioni, omologare le trasmissioni per omologare il pubblico.

Se ne rischierebbe il risveglio.

Trasmissioni dall'alto guadagno come Annozero hanno così cominciato a tremare, fino alla chiusura annunciata pochi giorni fa.

La televisione è vecchia e serve per cullare il sonno di chi non vuole svegliarsi.

Caro schermo scintillante pieno di nani, fate, maghi e pianure immacolate, ho mandato in tintoria il mio miglior abito.
Sono certo che vivrò abbastanza per partecipare al tuo funerale, sarò elegantissimo per farti onore.

Ti accenderò solo per vedere brevemente il monoscopio.
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Ascoltando:
Wire, 154, 1979

lunedì 17 maggio 2010

BOY WITH A COIN

Riguardo la crisi, dai primi cedimenti nel 2008 ad oggi, è stato detto di tutto e di più, le mie poche righe non aggiungeranno nulla.

Questo post, allo stesso modo del resto del blog, è un punto di vista dell’uomo della strada.

Pochi giorni fa ho sottratto dalla biblioteca della mia ragazza “Scritti Corsari” di Pier Paolo Pasolini.
La rilettura oggi, di quella raccolta di articoli che lo scrittore pubblicava tra il 1973 e il 1975, a tratti mi ha indignato.

Nonostante quelle parole siano distanti più di trent’anni, sono violente come uno schiaffo, colpiscono perché sembrano parole cadute nel vento, come se nessuno le avesse mai pronunciate, scritte.

Invece l’inchiostro è ancora fresco.

La scoperta di Pasolini per me è relativamente recente, i miei genitori me lo avevano descritto sempre come un personaggio deviato, strano, mentre mio zio materno lo ha sempre adorato per la poetica produzione friulana.

E’ solo leggendolo oggi, che si rende evidente conto quanto il suo sia stato un omicidio politico, inscrivibile all’interno della strategia della tensione.

Tutto quello che sono riuscito a cogliere dalla lettura dei suoi scritti, dall’ascolto delle sue interviste rilasciate per la televisione, ha illuminato la mia visione riguardo la società contemporanea.

Se alcuni poteri e cambiamenti stavano trasformando il tessuto sociale mentre Pasolini era ancora in vita, altri fenomeni possiamo invece dire che li abbia anticipati, addirittura previsti con uno sbalorditivo anticipo.

Il vuoto della società contadina che attendeva di essere riempito, descritto spesso da lui negli “Scritti corsari”, è stato occupato con il passare del tempo dalla borghesia.

Un lento processo di analfabetizzazione culturale operato dai mass media.

Quella che era la cultura contadina, fatta di persone semplici, timidamente ignoranti, fervidamente credenti ma ricche di valori e umiltà, è stata sostituita dall’agglomerato informe della società del consumo.

Produciconsumacrepa.

Oggi la catena economia che si credeva oliata e perfettamente funzionante, si è rotta e non ne vuole sapere di  ripartire.

Non credo sia solo un problema di poca disponibilità economica, non credo nemmeno che sia legata all’attuale economia di oligopoli, che uccide la libera concorrenza arricchendo di fatto chi era già ricco.

Penso invece che l’acquisto oggi sia oggetto di una attenzione edonistica da parte dell’acquirente.

La difficoltà dei commercianti oggi non è semplicemente imputabile alla concorrenza, ma al fatto che l’acquirente valuta molto prima di acquistare qualunque cosa.

Caratteristiche come “furbizia” e “bravura” tornano ad essere qualità positive per chi acquista, l’obiettivo è riuscire a spendere meno, anche quando il fattore economico non attanaglia il soggetto in questione.

L’occasione è come un trofeo portato con fierezza, anche se spesso la ricerca ha occupato tempo, quindi risorse, a raffronto magari di pochi euro di differenza.

Internet ci ha modificato anche in questo, ci ha resi più curiosi, meno passivi.

Per anni la televisione è entrata nelle nostre case dicendoci ciò che era giusto o sbagliato.
Oggi la diffidenza serpeggia nella rete, il raffronto incrociato è prassi.

La consapevolezza è nemica del consumismo.

Sono fiducioso, credo che una lenta rivoluzione sia iniziata, segnali e allarmi entrano nella nostra camera attraverso i social network.

Ci informano, a volte ci disinformano, ci mettono paura ma ci fanno sentire vivi.

Se i luoghi di incontro si sono ridotti a tintinnanti bar da aperitivo, dove i rapporti sono superficiali ed effimeri, ben vengano strumenti come blog e facebook.

Spesso all’interno di queste locande virtuali, ho trovato persone più interessanti che in quelle del mio paese, peccato manchi il profumo di cabernet e soppressa.

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Ascoltando: Iron and Wine, The Shepherd's Dog, 2007