lunedì 14 marzo 2011

OUR HOUSE

Certi corsi universitari avevano un sapore diverso, riuscivano nell'intento di costringermi a osservare il mondo con un’ottica completamente differente.
Uno in particolare, frequentato negli gli ultimi anni di università, propose l’analisi, lo studio e la presentazione di un progetto per una porzione di città diffusa.
Nel caso particolare si trattava di un tratto stradale che collega la città di Padova con quella di Castelfranco, ma era un pretesto.
In realtà scoprii che, correndo lungo quella strada e immergendosi nell'entroterra, era possibile afferrare un frammento che, reiterato, formava la megalopoli padana.
Prima di quella fatidica lezione tenuta da Bernardo Secchi, non avevo ancora percepito il mio territorio in questa ottica così ampia e di respiro europeo.
Gli assistente del docente, due ragazzi neolaureati e molto svegli (ho scoperto successivamente che hanno fatto carriera universitaria), durante il corso esposero i loro filtri interpretativi, utilizzati per analizzare il territorio in questione.
Per loro era stato argomento di tesi.
Tra questi parametri, uno in particolare mi aveva colpito: il posizionamento e le tipologie di recinzione delle abitazioni poteva essere un valido argomento di analisi per un sistema urbano.
Raramente nel mio lavoro ho avuto l’occasione di progettare ambienti senza confini delineati, spesso si trattava di definire spazi conclusi in se stessi, delimitati da recinzioni, privati.
Credo che sia stata proprio la logica del lotto chiuso in se stesso a minare gli aspetti più peculiari delle nostre città: si è trasformato il territorio in quartieri e lottizzazioni, in cui l’unico barlume di creatività e fantasia è relegato alla scelta dei nomi delle strade.
Sono certo che alla vista di una nuova lottizzazione, molti illustri anziani si tocchino i gioielli di famiglia.
Non è solo una questione di interpretazione della libertà e della proprietà, se decidiamo di delimitare i nostri ambiti con reti e fili.
E' la mancanza di senso civico.
A volte mi piace passeggiare per la mia desolata città ed ogni volta mi accorgo sempre più, che non è una città concepita per pedoni.
La progettazione dei nuovi quartieri, tasselli senza logica appiccicati nei luoghi, ha sfigurato il concetto di città.
Dormitori completamente isolati, senza possibilità di interazione.
Sono cresciuto in palazzi dove si condividevano gli spazi comuni, dove c’era una griglia di quartiere, dove si sentivano le telefonate dei vicini di casa e gli sciacquoni che rumoreggiavano di notte, come esplosioni.
Oggi sarebbero spunti per fegati rovinati dall’odio e cause legali.
Forse sono state le siepi a rovinare le nostre città?
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Ascoltando:
Crosby, Stills, Nash & Young, Déjà vu, 1970