lunedì 25 aprile 2011

Vivo morto o X

A volte mi soffermo sui comportamenti delle persone, non sarò un sociologo ma mi piace osservare la gente.
Più raramente invece, osservo il mondo con l’occhio dell’urbanista, scrutando come i progetti condizionano i comportamenti umani, generando degrado sociale oppure nobilitazione.
“Architettura è politica” citava lo slogan, impresso su un quadernino di schizzi, che ho acquistato a una recente Biennale di Venezia, sottolineando che fare architettura è un atto sociale, politico.
Da piccolo consideravo la politica un qualcosa di complicato, contorto, un ingarbugliato labirinto di leggi, norme, codici incomprensibili.
Per anni mi sono attenuto a quello che diceva mio padre, il quale risultava sempre più chiaro dei giornalisti: “La politica è sangue e merda” mi diceva papà, citando l’antico adagio di Rino Formica.
Più tardi, ho cercato di colmare le mie lacune di storia contemporanea  con l’acquisto di quotidiani e parlando con le persone; devo ammettere che ho imparato più da chi non la pensava come me che da chi condivideva le mie idee.
Recentemente, complice il clima politico infuocato e la dilagante anti politica, ho condiviso questa percezione di impotenza di fronte alla classe dirigente.
Non credo che questa propensione sia conseguenza di un timore di schierarsi, di metterci la faccia.

Ogni giorno infatti incontro persone che ci mettono la faccia: anziani che urlano al bar, donne che si insultano al supermercato, cori da stadio.

Questa è la media dei dibattiti politici che interessano argomenti nazionali.

La dimensione civica sembra sia minore, piccola, una realtà innocua.
E’ solo nel periodo elettorale che, anche in comunità di poche migliaia di abitanti, vengono proiettate le cattive usanze nazionali.
Ci si mette la faccia solo a parole, perché sappiamo che il giorno dopo possiamo contraddirci, non  ci siamo cuciti una bandiera addosso, non ci siamo schierati.
Ecco, anche io non mi sono schierato, non mi sono cucito addosso una bandiera, non porto sulle spalle le problematiche nazionali che sono troppo pesanti per la mia schiena.
Sono entrato in un gruppo di lavoro, un orticello di idee, composto di persone con le quali discuto e condivido le visioni per la mia città, visioni e scenari lungimiranti, si auspica.
Nessun sogno: quest’anno ho deciso di sbarazzarmi dei sogni e piantare intenti.
Appoggio una persona che stimo, credo possa fare del bene per la mia città.
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Ascoltando:
Ligabue, Buon Compleanno Elvis, 1995

mercoledì 13 aprile 2011

SUPERSTITION

Dicono che le piramidi cominciarono a essere depredate dalle morti dei rispettivi faraoni, in barba a maledizioni e superstizioni.
E’ comprovato che l’Anfiteatro Flavio, dopo il declino dell’impero romano, fu adoperato come cava per materiali da costruzione: i romani impiegarono, infatti, pietre, rocchi e capitelli dell’edificio per le murature di alcuni edifici residenziali.
Sembrerebbe insomma che, passato lo splendore di una civiltà, i popoli vogliano subito sbarazzarsi dei simboli dello sfarzo, appropriandosi di frammenti di eternità da esporre nelle proprie abitazioni private.
Come trofei di una guerra.
Lo spoglio di edifici rappresentativi, ha quindi numerose radici storiche, si può ipotizzare che nell’era di internet, tale pratica verrà realizzata in tempi record.
Il periodo di imbarbarimento che può attraversare una società in declino, non è prevedibile e talvolta stupisce anche i più fantasiosi.
Oggi non possiamo immaginare cosa succederà ai monumenti dell’occidente, quando il suo predominio vacillerà, quando le sue religioni e i suoi simboli non avranno più senso per le popolazioni che vi abitano.

Ma non siamo sotto assedio: i nostri veri nemici siamo noi stessi.
Nella periferia di Marghera, su terreni polverosi, oggi sorgono cattedrali disabitate: sono i grandi stabilimenti dismessi di aziende, dai fasti gloriosi.
Alla stessa stregua di ciò che avveniva negli edifici religiosi, qui i culti del capitalismo e quello della produzione industriale si officiavano ogni giorno.
In pochi sanno che oggi, questi immense testimonianze di un passato nemmeno tanto remoto, vengono depredati di ogni materiale commerciabile e riutilizzabile.
Alla faccia dell’arte povera e delle energie rinnovabili.
Intere squadre di abusivi, con orari e turni simili a quelli degli stabilimenti attivi, ogni giorno entrano in queste aree e cominciano letteralmente a smontare questi edifici.
All'inizio prendono tutto ciò che può essere trasportato facilmente, di facile guadagno: tamponamenti e macchinari, come fossero decorazioni, stucchi e pietre preziose.
Lentamente si arriva all'osso del fabbricato e ne rimane solo la scheletrica struttura.

A decine di metri d’altezza, vengono sfilati dalle strutture i cavi elettrici per estrarne l’anima in rame, facilmente rivendibile.

Pochi euro dividono questi individui dalla vita alla morte: il rischio è altissimo, il guadagno minimo.

Certo non saranno edifici di particolare interesse religioso o politico, ma vedere queste immense cattedrali d’acciaio sottratte di ogni elemento ha un sapore di film western.
Nude, senza dignità e decoro di una sepoltura, esposte al pubblico ludibrio, spazzate dal vento, scarnificate da sciacalli, microrganismi e intemperie.

Ci siamo dimenticati di queste opere d’arte, tecnicamente e artisticamente superiori ai contemporanei capannoni in cemento prefabbricati.

Ciò che mi ha stupito di queste aree dismesse, è il rapporto tra pieni e vuoti.
Come le abitazioni rurali agricole, questi immensi lotti di terreno, sovradimensionati rispetto ai fabbricati, ci danno l’idea di come questi fabbricati fossero dotati di una cornice, un passepartout che li nobilitava.
La scelta della nostra civiltà è stata quella di demolirli, oppure lasciare che crollassero sotto il peso degli anni.

Con la loro sparizione, perderemo storie e riflessioni, errori e successi della nostra società, sarà una insanabile amnesia edilizia.
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Ascoltando:
Stevie Wonder, Talking Book, 1972